Rete nella Memoria

Condividere e pensare

Perdona, non dimenticare

Infra memoria

 

 

 

 

 

“Non c’è paragone tra combattere liberamente ed essere annientati nella notte” (St Exupéry): questa una delle frasi incise sulla pietra scabra nel cuore del Memoriale dei martiri della deportazione di Parigi. Seguendo le scritte con gli occhi, i piedi si fanno leggeri, procedono senza saperlo. Si scivola lentamente nel senso del dramma, la riflessione scavata dalle parole rosse nelle stanze nude, scoperte di tutto. Una cripta dove 200,000 stalattiti di cristallo simboleggiano le vittime della deportazione da Vichy ai campi di sterminio e per sempre strappano quelle anime ai numeri d’inchiostro e le restituiscono al nome e alla luce. Una singola punta di luce, ma potentissima, a farle brillare, e la tomba di un ignoto internato nel campo di Neustadt a sigillare un’identità dimenticata ma mai scomparsa, mai annullata. E sul muro dirimpetto una frase: “Pardonne, n’oublie pas” (Perdona, non dimenticare), un imperativo e una preghiera. Una richiesta urgente e sussurrata. La memoria contro la dimenticanza. La luce contro la notte. Per coloro che qualcuno cercò di soffocare nella notte, qualcuno ora combatte liberamente. Combatte nel tenere viva la memoria, luminosa come quella punta di luce che sgorga dal fondo di migliaia di anime.

Pingusson, l’architetto che progettò il memoriale nei primi anni Sessanta, ideò la struttura come la prua di una nave, una nave incagliata sulla punta dell’Île de la Cité, che respira sull’acqua della Senna e sotto un giardino di rose. Uno spazio lungo e stretto ideato per trasmettere un senso di claustrofobia, la soffocante condizione dei deportati, ma che a mio parere vive piuttosto del soffio sottile del vento tra le sbarre di ferro, della distesa d’acqua intravista attraverso i blocchi di calcestruzzo. L’aria contro l’asfissia. L’acqua contro l’aridità. La speranza e la vita che Anna Frank ancora scrutava in un cielo di nuvole bianche, pochi momenti prima della cattura; gli atti di umanità intensa e vera di cui Sami Modiano ha fatto esperienza durante l’internamento, luminosi, abbaglianti sulla crudele immoralità di quell’inferno: sono fatti della stessa materia incorruttibile dei versi di Hélène Humbert-Laroche, deportata nel campo di Bergen-Belsen, riportati nel museo. Vi scorre la stessa inarrestabile forza: “E davanti a questo mondo che si apre a metà, crolla e si ritrae sta ancora la misteriosa e latente energia che rifiuta le tenebre e non vuole che si uccida la vita”.

Fabiana Mocella

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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